Sulla necessità di un ritorno al principio nazionale
Alain De Benoist in uno dei suoi scritti spiegava come l’opposizione al processo di distruzione delle identità dei popoli sia inscindibilmente connessa con la lotta al turbocapitalismo finanziario (1) . Lo stesso Karl Marx nelle sue analisi mostrava il nesso tra le politiche di apertura all’immigrazione e la necessità del grande capitale di avere un esercito di riserva pronto ad accettare condizioni salariali bassissime, instaurare una concorrenza tra i salariati e provocare così un abbassamento delle condizioni lavorative generali (2). Di conseguenza, una battaglia contro l’immigrazione non può che essere una battaglia contro l’attuale turbocapitalismo, perché la prima è un prodotto necessario del secondo. Non è un caso infatti che proprio i più acerrimi sostenitori dell’attuale modello turbocapitalista siano al contempo accaniti sostenitori dell’apertura indiscriminata delle frontiere e dello ius soli. Partiamo con ordine. Veniamo da vent’anni di propaganda assordante a favore dell’immigrazione terzomondista. Negli anni ’90 furono pure emanate delle leggi – ancora vigenti oggi seppure palesemente incostituzionali – per punire come reato d’opinione talune posizioni contro l’immigrazione: quando una tesi viene imposta per legge puzza sempre di menzogna che si vuole far metabolizzare come verità (3). Basti pensare che oggi queste leggi – pur ancora ingiustamente vigenti e operanti – colpiscono molto meno di prima proprio perché altrimenti (a differenza di quando furono emanate, dove la critica all’immigrazione era ancora ristretta solo a certi ambienti politici) dovrebbero perseguire penalmente interi strati dell’opinione pubblica, oggi sempre più insofferente verso un fenomeno che mostra quotidianamente la sua tragicità. Significativo è tra l’altro il fatto che questa insofferenza sia presente in larga maggioranza negli strati meno abbienti della popolazione, quelli più penalizzati dal problema in questione. Assistiamo infatti non a delle normali migrazioni (da sempre esistite), ma ad un processo palesemente eterodiretto da forze non certo occulte. Organizzazioni criminali che lucrano sui “viaggi della speranza”, grande capitale che trova lavoratori non sindacalizzati (leggasi: nuovi schiavi), senza che ciò possa minimamente risolvere i problemi dei paesi di provenienza degli immigrati, vessati dall’imperialismo economico delle multinazionali occidentali (ben peggiore del colonialismo che fu). Quello stesso imperialismo economico che poi ci impone di accettare l’assalto delle coste, che si è intensificato a seguito delle sciagurate politiche occidentali in favore delle primavere arabe e del terrorismo islamico in Siria. Sicuramente si può vedere con favore una proposta politica di chiusura delle frontiere in ragione dei problemi di ordine pubblico che mostrano un nesso innegabile tra l’immigrazione e la criminalità, come va benissimo chiedere il ritorno ad una piena sovranità nazionale anche per quanto riguarda la gestione del fenomeno, dovendosi procedere con la chiusura delle frontiere e rimpatri consistenti. Una semplice sfogliata di un libro di diritto o di scienza politica non metterebbe certo in dubbio la giurisdizione territoriale dello Stato e quindi il suo potere a riguardo. Quello che però si deve porre al centro della battaglia, per chi voglia andare oltre alla superficie del problema, è il concetto dell’Identità di Popolo. Identità di Popolo significa respingere la concezione atomistica dell’individuo, portata oggi all’esasperazione nella visione dell’individuo nella sua sola sfera economica, per affermare invece il modello dell’homo etnicus (4), concependo l’individuo umano nel suo legame imprescindibile con la sua comunità nazionale in un trinomio inscindibile tra passato, presente e futuro. L’Identità di Popolo connessa al principio nazionale è oggi un baluardo contro quella finanza apolide e negatrice di ogni appartenenza identitaria che sta distruggendo l’Europa. É ancora da sottolineare come gli stessi uomini dell’alta finanza ed i loro camerieri siano al contempo accaniti sostenitori dell’instaurazione delle politiche volte all’eliminazione delle identità etno-nazionali (5). Non si possono ammettere a riguardo delle ambiguità: chi pensa di poter scindere il problema, ad esempio affermando l’opposizione al finanziarismo per poi urlare all’apertura delle frontiere per “un mondo senza confini” cade in un cretinismo politico difficilmente eguagliabile, perché si pone sullo stesso terreno ideologico di chi pretende di combattere, non solo nei presupposti, ma di fatto anche nei fini. Il famoso motto dell’Internazionale che recitava “La nostra patria è il mondo” è oggi lo stesso dei pescecani di Wall Strett e di Francoforte. Altrettanta distanza deve essere mantenuta da quelle correnti di pensiero “occidentaliste” che identificherebbero l’identità europea con l’occidente americano innalzando quest’ultimo come valore da difendere di fronte ai “nuovi barbari”. Si tratta di posizioni non certo da inseguire, perché è proprio l’occidentalizzazione ad avere provocato la caduta dello spirito identitario e a permettere tutt’ora la distruzione dell’Italia e dell’Europa sotto i colpi delle orde allogene. Questi “occidentalisti” che si ergono a difensori dell’identità (quale sia l’identità in questione non è dato sapersi) non sono altro che uno specchio per le allodole. Più ancora da rifiutare è la cancellazione del concetto di nazionalità in favore di una sua confusione con il concetto meramente giuridico e burocratico di cittadinanza. A guardare bene la Storia, uno dei primi segni di decandenza dell’Impero Romano fu proprio l’estensione della cittadinanza a tutti gli abitanti dell’Impero(6). Giacomo Leopardi nello Zibaldone scriveva: “Quando il cittadino Romano fu lo stesso che Cosmopolita, non si amò Roma né il mondo. L’amor patrio di Roma, divenuto cosmopolita, divenne indifferente, inattivo, nullo: e quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu più Patria di nessuno, e i cittadini Romani, avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria, e lo mostrarono col fatto”. La confusione del concetto di cittadinanza con quello di nazionalità porta ineluttabilmente alla fine di una Nazione, perché essa cessa di essere una comunità spirituale per diventare un mero apparato burocratico di rilascio di documenti timbrati. Premettendo che il concetto di nazionalità, nel senso di appartenenza etno-culturale, è presente in ogni civiltà in maniera uguale nella sua essenza, e che invece la cittadinanza è un concetto giuridico che trova discipline assai differenti a seconda dell’ordinamento, è chiaro che affermare l’italianità di un individuo solo ed esclusivamente perché nato in territorio italiano significherebbe ammettere che se fosse nato invece a qualche chilometro dal confine italiano non sarebbe stato tale(6). Un ragionamento assolutamente privo di senso, tenendo conto inoltre del fatto che lo ius soli è un sistema che fu adottato in territori (come ad esempio l’America degli albori) che necessitavano di una fisiologica immigrazione per essere popolati, non certo da Nazioni aventi millenni di Storia. La cittadinanza deve essere giuridicamente configurata in base al principio della nazionalità: il contrario non può avvenire, dato che una legge – per quanto possa regolare i fenomeni sociali nella maniere più svariate – non può certo cambiare dei principi da sempre esistenti nella natura della vita dei popoli, da sempre organizzatisi in gruppi omogenei per caratteristiche etno-culturali e quindi secondo il principio di nazionalità. Ribadire oggi il principio dello jus sanguinis significa ribadire il primato della Nazione sull’individuo. (7) Si deve a riguardo fare una precisazione. Nella Storia dell’Europa si è sempre sviluppato un multiculturalismo naturale: gli imperi tradizionali (ultimo nella Storia quello Asburgico, erede del Sacro Romano Impero) hanno sempre visto nel proprio territorio una varietà di popoli, la cui comune appartenenza all’Europa ha garantito una possibilità di convivenza in quella che si chiama “l’etnarchia imperiale”, nella quale l’identità particolare si concilia con quella generale. (8) Un multiculturalismo naturale ben diverso da quel melting pot in salsa americana che oggi impone una convivenza utopica e innaturale tra masse di popoli estremamente differenti tra di loro, sotto l’insegna della comune “umanità”. Lungi da noi quindi riproporre il principio nazionale (9)) in una chiave di nazionalismo giacobino ottocentesco, bensì come mattone per la costruzione di una identità europea sempre più forte che deve costituire il baluardo contro questo nuovo “sol dell’avvenire” del livellamento e dell’uniformazione artificiale dei costumi e della cultura imposti dal mondialismo (10). La salvezza dell’Italia e dell’Europa passa per una ritrovata consapevolezza dell’Identità di Popolo e per un ritorno al principio nazionale (esteso su scala continentale), per riacquistare quell’indipendenza e quella sovranità oggi sempre più minacciata da quelle forze che vorrebbero dissolvere le Nazioni nel super-Stato mondiale finanziario, anche e soprattutto tramite la distruzione delle identità nazionali, le quali permettono ad un popolo di non essere massa di operatori economici, bensì una comunità di Sangue, Suolo e Spirito, così come concepita nel Demos della Grecia Antica nel Populus Romano. NOTE E BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO 1) Quaderni Padani, Bimestrale della Libera Compagnia Padana, nn. 43 – 44 Settembre – Dicembre 2002, “Speciale Europa”. A. De Benoist, Europa e mondialiazzione: “Storicamente il cosmopolitismo si è soprattutto espresso a sinistra ma oggi non sono i partiti di sinistra che favoriscono più attivamente la globalizzazione. Chi critica la globalizzazione senza dire nulla sulla logica del capitale farebbe meglio a tacere.” (2) Sull’analisi marxista dell’immigrazione, Frederich Engels, “La situazione della classe operaia in Inghilterra” Edizioni Lotta Comunista , nel capito “L’immigrazione irlandese”: “Insomma, gli irlandesi hanno scoperto quale sia il minimo dei bisogni dell’esistenza, e lo vanno insegnando agli operai inglesi. (…)Questo è il concorrente contro cui è costretto a lottare l’operaio inglese, un concorrente che si trova sul più basso gradino possibile in un paese civile, e che appunto per questo ha bisogno di un salario minore di chiunque altro. Per ciò è inevitabile che il salario dell’operaio inglese si abbassi sempre di più in tutti i settori in cui l’irlandese può fargli concorrenza. E questi settori sono numerosi. (…) Si può comprendere come la situazione indegna dei lavoratori inglesi, generata dall’industria moderna e dalle sue conseguenze immediate, sia stata resa ancora più degradante”. Sulla correlazione tra cosmopolitismo ed espansionismo capitalista, Karl Marx, K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 45-46 : “La produzione cosmopolita. Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi. Con gran dispiacere dei reazionari, ha tolto alle industrie la base nazionale. (…) Essa costringe tutte le nazioni a adottare le forme della produzione borghese se non vogliono perire; le costringe a introdurre nei loro paesi la cosiddetta civiltà, cioè a farsi borghesi. In una parola, essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza.” (3) Valerio Zinetti, “Legge Mancino, un codice liberticida”, in “Rinascita – Quotidiano di Liberazione Nazionale” 13 ottobre 2010: “Con l’inizio dell’immigrazione terzomondista in Italia, il mondo progressista iniziò ad esaltare il fatto che eravamo inesorabilmente proiettati verso una società dove non c’erano più solo italiani, non più solo cristiani, ma anche africani ed asiatici portatori di costumi che erano se non migliori, da considerarsi uguali ai nostri. La fallacità di una simile tesi rendeva necessaria una repressione giudiziaria e poliziesca degli esponenti politici che si opponevano al nuovo dogma dell’immigrazione selvaggia. Una tesi come quella suddetta infatti, a distanza di 17 anni dall’emanazione della Legge Mancino è risultata infondata e utopica, e si capisce come allora – vista l’impossibilità di dimostrarne la verità sul piano politico – ci sia stato il ricorso allo strumento repressivo.” (4) Alberto Lembo, “Mondialismo e resistenza etnica”, edizioni AR, Padova, 1999 (5) Alexander Dughin, “Soltanto Bolscevismo”: “Non esiste capitale “nazionale”. L’essenza del capitale è internazionale. Esso ignora qualsiasi ostacolo sulla via del profitto economico. E questo profitto è ostacolato da ogni restrizione alla libertà di mercato. Ciò include divisioni di natura statale, nazionale, confessionale, ed altre.” “Plutocrazia e Bolscevismo”, Istituto Nazionale di Cultura Fascista, Quaderni di divulgazione, seri 2 n. 4, Roma, 1942: “Come si vede, il plutocrate e’ l’estrema degenerazione del capitalismo. In lui all’ideale del lavoro si sostituisce l’ideale speculazione. Egli crede unicamente nella potenza del danaro. Il danaro per lui, non e’ piu’ il simbolo del lavoro, il mezzo per il trasferimento di una ricchezza costituita da solidi beni (campi, case, merci, impianti, navi), ma e’ la ricchezza in se’, arma di illimitata potenza. Per questo motivo, il plutocrate deve innanzi tutto superare qualsiasi sentimentalismo: il suo potere non puo’ essere limitato ne’ dal concetto di patria, ne’ da quello di civilta’, ne’ da quello di umanita’. Egli ha un solo interesse: che la societa’ nella quale vive ed opera riconosca e subisca l’onnipotenza del suo danaro.” (6) Ida Magli, “Sullo Ius Soli” in “Idee per l’Europa dei Popoli” n.19 Maggio 2013 : “Mai in nessun tempo, in nessun luogo, l’essere umano è stato considerato un «nulla», una tabula rasa alla quale è il suolo sul quale si trova casualmente a nascere ad assegnare nome e identità. È questo invece quanto affermano i nostri governanti. (…) Dire che chi è nato in Italia è italiano significa invece proprio questo: che l’Italia non possiede nulla, che la sua storia non vale nulla, che l’orizzonte nel quale l’individuo viene al mondo è vuoto e che soltanto il caso lo contraddistingue. Se la barca fosse approdata in Spagna sarebbe stato spagnolo, se fosse approdata in Argentina sarebbe stato argentino…È molto significativo, però, il fatto che il governo Letta, nato come il governo Monti per mettersi al servizio dell’Ue, sia formato da molti ministri propensi al disprezzo dell’italianità. L’Ue è il tramite a quell’omologazione dei popoli che è indispensabile a un governo mondiale.” (7) Silvano Lorenzoni – Federico Prati, “Scritti etnonazionalisti. Per un’Europa delle Piccole Patrie”, Effepi, 2005: “ Secondo la concezione etnonazionalista il diritto di cittadinanza spetta unicamente a chi appartiene per diritto di Sangue alla comunità etnica. Per questo per noi etnonazionalisti lo jus sanguinis èun punto fermo, irrinunciabile. La nostra teoria volkish etnonazionlista pone un’importanza speciale sulla supremazia della nazione rispetto all’individuo.” (8) Carlo Costamagna, in “Dottrina del Fascismo” edizioni AR, 1991. Nelle nota introduttiva si illustra l’idea di “ prefigurazione di una possibile “etnarchia imperiale” -ove l’idea di un impero sopranazionale e polietnico si contrappone alla sua deformazione grottesca: un imperialismo sostenuto da un ´governo mondiale ` che soffoca la pluralità delle culture etniche avviluppate da una usurocrazia senza volto”. (9) Carlo Costamagna, in “La Rivolta Ideale” luglio 1951: “Bisogna ritornare al principio nazionale specifico della nostra dottrina. La storia dell’avvenire, checcè pretendano i fautori dei programmi “universali” sarà, come quella del passato, storia più che mai di Nazioni, ossia di Popoli.” (10) Silvano Lorenzoni – Federico Prati, “Scritti Etnonazionalisti. Per un’Europa delle Piccole Patria”, Effepi, 2005:”Il mondialismo è l’estrisecazione della volontà di potenza di un raggruppamento di usurai internazionali che utilizzano l’arma monetaria per imporre la loro volontà sui popoli e sui governi (…). Un tipo pseudo-umano senza razza, senza tradizione, senza cultura, senza religione, senza personalità definita, mosso solo da stomaco e intestino e armato di un infinito risentimento, si dedicherà poi ad un sabotaggio/partigianismo pandemico dal quale scaturirà il paese dei balocchi (in base a quali meccanismi, non è chiaro). Questo è lo stadio finale, auspicato da marxisti e usurocrati, che dovrà essere raggiunto dopo la liquidazione di tutti gli etnonazionalismi. E’ contro questo tentativo, attuato dalla massoneria e dalla Alta Finanza apolide, di cancellare, di distruggere la Tradizione e l’Identità etnica, culturale, linguistica, storica, civile d’ogni comunità etno-nazionale d’Europa che noi dobbiamo combattere!”